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Marcello Fois, Prefazione a Impasto perfetto, 2001

NOI TRE

Un brevissimo excursus autobiografico: io Roberto Valentini lo conosco da vent’anni. Lo dico subito così si evitano problemi. Lo conosco perché abbiamo fatto l’università insieme. Poi, come capita, nei migliori film d’autore italiani, ci siamo persi di vista per una decina d’anni, forse più. Quando ci siamo rivisti aveva scritto un libro. Non è che sia cambiato molto da allora il Valentini: non capisci mai quando scherza o fa sul serio. Scherzi? Hai scritto un libro? Gli ho chiesto. Eh! Mi fa lui allargando le braccia: ho scritto… un giallo. Ahi! Faccio io fra me e me.
Ora, è notorio che io sono troppo presuntuoso per temere la concorrenza, quindi quell’Ahi! non andrebbe interpretato nel senso: il nemico alle porte! Ma nel senso: eccone un altro che scrive gialli! E questo, se non fosse stato perché ho fatto cene sublimi nella sua casa di studente in via dei Poeti e ho ascoltato i Soft Cells e i Gaz Nevada, nell’impianto stereo che lui si era montato in camera adattando un’autoradio, sarebbe stato motivo sufficiente per glissare al volo sulla questione letteratura e passare alle rimembranze dei bei tempi andati.
Ma abbiamo un frammento di passato in comune, e questo, conta, accidenti se conta. Datemi del sentimentale. Così quell’Ahi! Potrebbe essere solo una constatazione di quanto buffo e irragiungibile possa essere il disegno del caso.
Insomma vent’anni fa sono arrivato a Bologna come studente fuori sede, le prime due persone che incontro sono un punk di Mordano e un giovanotto di Sassuolo. Il primo veste di nero è moderatamente borchiato, ha un accenno di cresta; il secondo colpisce perché indossa golf di mohair ora rosso acceso, ora giallo canarino, tutti rigorosamente girocollo. Abbiamo molti corsi in comune alla Facoltà di Lettere noi tre e stiamo spesso insieme fuori dall’università: uno sono io, uno è Carlo Lucarelli, l’altro è, per l'appunto Roberto Valentini.
Basta questo per evitarmi sensi di colpa in merito a nepostismi presunti o reali. Ma se questo non bastasse, mi basterebbe la tranquillità di poter dire che il romanzo di Roberto Valentini è un buon romanzo. Questo tranquillizza credetemi. Tante volte amici cari ci sottopongono opere prime illeggibili. Non è questo il caso. Intanto la scelta di quello che teatralmente si definirebbe lo scenario; una cosa si capisce subito e incoraggia: Valentini conosce molto bene l’ambiente che descrive. Nella fattispecie l’ambiente dell’industria della ceramica, che è l’attività per cui Sassuolo, suo luogo d’origine e di vita, è famosa nel mondo. Poi il mestiere del suo protagonista, Carlo Castelli, che fa il giornalista, che cosa sennò? Un personaggio che osserva e scrive, capisce e descrive. Uno scrittore, in fondo.
Non dirò che questo è un giallo che prescinde dal genere giallo per accedere a una descrizione socio antropologica della provincia italiana che tante, fin’ora sconosciute, energie sta apportando, e ha apportato, alla letteratura italiana. Non lo dirò perché impostare la frase in questo senso significherebbe dire qualcosa che non penso. E soprattutto dire

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